Archivio per 15 ottobre 2013

WORLD WAR Z

Gerry Lane è in auto con la sua famiglia, nel traffico di Philadelphia, quando scoppia il caos. Orde di persone infette da un male sconosciuto si avventano su chiunque altro, contagiandolo in pochi secondi. Ex impiegato delle Nazioni Unite ritiratosi a vita privata, Lane accetta di tornare in servizio pur di mettere in salvo la propria famiglia su una nave del governo. Parte dunque alla ricerca del luogo del primo contagio, di scorta ad un promettente immunologo, nella speranza di isolare il virus e poter apprestare un vaccino.
La Plan B di Brad Pitt e soci ha scelto il libro di Max Brooks “World War Z: An Oral History of the Zombie War” per farne un blockbuster tutto adrenalina e clima da fine dei tempi. La “rabbia” famelica di cui sono portatori gli zombie (baluardi di un’interpretazione orroristica del concetto di “non morti”, laddove i vampiri sono ormai sempre più ripuliti e politicamente corretti) si diffonde nel film di Forster come una pandemia moderna e le tante inquadrature dall’alto ne sottolineano efficacemente lo spargimento capillare, come arterie di un unico mondiale organismo sociale che si colorano di rosso, sulle strade e sui monitor del potere, ridotto all’impotenza.
Meno efficace è la sensazione di compressione degli eventi, che s’affaccia a inizio avventura con l’eliminazione in quattro e quattr’otto dello scienziato (per lasciar campo libero a un Brad Pitt tuttofare) e ritorna in più punti, finale compreso. Dentro, sempre compressi ma riconoscibili, ci sono la tensione di Contagion, il ricordo di 28 giorni dopo, le sequenze pensate per le piattaforme di gioco di Resident Evil. Anziché spogliare  World War Z  di una sua identità, però, i tanti richiami esterni fanno pensare che la cifra del film dell’eclettico Forster si trovi proprio nella compresenza degli elementi: non c’è dramma senza azione, non c’è azione senza romance, né romance senza gore (anche se quest’ultimo è l’ingrediente usato con maggior parsimonia).
Le scene di massa si alternano meccanicamente a quelle che ritraggono il privato dell’eroe e, nonostante il tono epico e semiamaro del commento, fa presto capolino la sensazione che gli zombie siano ridotti a pretesto, burattini al servizio dell’immagine della star, avventura tra le tante di un padre di famiglia chiamato “suo malgrado” a salvare periodicamente il mondo. Ma sono dolci, vecchie ingenuità hollywoodiane, che in fondo non fanno male a nessuno. Sgradevole, invece, è il capitolo israeliano del film, nel quale si dà spazio a un’apologia del muro e a una banalizzazione della storia (nel riassunto dell’interlocutore di Brad Pitt) che, tra tanti tagli e stringimenti, sarebbero dovute cadere per prime.

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I CROODS

C’era una volta l’età della pietra, quando gli uomini stavano nelle caverne per proteggersi dalle bestie feroci e trovare di cosa cibarsi significava rischiare la vita. Tutto era molto diverso, allora, tranne … l’adolescenza. Eep è la figlia maggiore dei Croods e non ce la fa più ad accontentarsi della mera sopravvivenza; vuole uscire, curiosare, in una parola: vivere. Perché mai tutto ciò che è nuovo dev’essere considerato letale? Eep proprio non se lo spiega e, quando incontra Guy, si mette al suo seguito, rivoluzionando la propria esistenza e quella di tutta la famiglia. Sì, perché i Croods sono così uniti che si potrebbero dire appiccicati. Il capofamiglia, un cavernicolo che non ha mai avuto un’idea né ha mai sentito il bisogno di averla, ha fatto della protezione di moglie e figli la sua missione (di strappare la suocera alla morte farebbe anche a meno, ma è inclusa nel pacchetto) e gli animatori della DreamWorks giocano bene e a lungo sulla compattezza del clan, sui problemi che derivano dal dover restare sempre vicini ed uniti, e incollano i personaggi tra loro creando divertenti effetti a catena e rovinosi effetti “elastico”, più slapstick che mai. Ma non è solo questione di movimentare la commedia o di renderla fisica, insistendo così sull’animalità degli uomini primitivi: è soprattutto per parlare di legami e di senso della famiglia che gli autori dei Croods spingono su questo pedale. Così, quella che poteva sembrare una trovata facile, in salsa Flinstones, si rivela invece un film  spiritoso e sentimentale, nel senso positivo del termine. Poi arrivano anche le scoperte e le invenzioni che punteggiano il viaggio degli eroi verso il “domani”: il fuoco, le scarpe, le automobili (su quattro zampe), persino una sorta di navicella spaziale. Ma, ancora una volta, è più spettacolare la visione del cielo stellato (preclusa a chi non aveva il coraggio di affrontare la notte all’aperto) o quella dell’acqua del mare. La seconda trovata del film, infatti, è proprio quella di offrirci ogni scoperta come un’occasione di riscoperta, senza per questo farsi pedante o istruttivo (ma romantico sì). Dietro la ragazzina coraggiosa che vuole cambiare lo stato delle cose e il genitore protettivo, che vorrebbe tenerla lontana da tutto, s’intravede la mano di Chris Sanders che già aveva vergato i corpulenti vichinghi e il “diverso” Ichab di Dragon Trainer, anche se la prima versione del copione è opera del coregista DeMicco e dell’ex Monty Python John Cleese. Migliore attore non protagonista: il bradipo Laccio, responsabile anche di un’elettrizzante colonna sonora.

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